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Oscillante tra asciuttezza di pronuncia e spirali barocche, Jacopo Ricciardi si muove in un costante indagare sugli opposti, in un misterioso intreccio che si svolge, nella imprevedibilità dei suoi ritmi, tra il dissolversi e il ricomporsi, che accosta talvolta il sapere scientifico per nutrire la ricchezza e l'acribia del suo pensiero. Indaga sul senso aperto della nascita, in vortici di narrazioni che appaiono legate a un'osservazione d'esperienza vissuta. Ragiona sul tempo che si annida nelle minime parti di vita e materia, poiché «ogni molecola ha una radice di tempo.» Coglie la molteplicità delle presenze, sente che la conoscenza sottrae una sana naturalezza elementare al vivere, ma non può cessare di ampliarne il campo, nella convinzione della coesistenza tra le sfere del sapere e la normalità del vivere. È il percorso di un poeta a suo modo immaginifico, che esprime il suo ricco pensiero (nell'elastica pronuncia della versificazione), capace di produrre innumerevoli visioni e accostarle. A queste egli affida il gioco sapienziale, mai enfatico, in cui si svolge il suo complesso itinerario: dalla mente alla parola poetica, che sa incidere con viva forza di umori sulla pagina.